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Dentro le Parole | Consenso: perché dire sì o no può cambiare tutto? 

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Le ho sparato un bacio in bocca / Uno di quelli che schiocca
Sulla pista indiavolata / Lì per lì l’ho strapazzata
L’ho lanciata, riafferrata / Senza fiato l’ho lasciata
Tra le braccia mi è cascata / Era cotta innamorata
Per i fianchi l’ho bloccata / E ne ho fatto marmellata

Pino D’Angiò, Ma quale idea 

Sarà che, come tutte le parole che hanno un “con” in apertura, anche consenso suona allegra, quasi piaciona. E t’immagini tavolate festaiole dove si mangia ogni bendidìo, e alla domanda «ancora un po’?» rispondi sempre «certo!». 

Sarà che poi c’è “senso”, parola bellissima e ricca di significati: il senso delle parole, appunto, la direzione di marcia, il richiamo ai valori (di giustizia, della misura… ), il buon senso, il senso comune, e poi tutta quella gamma di percezioni fisiche o emotive. Ne abbiam parlato qui.

Grattugia il cuore pensare che negli ultimi mesi la parola consenso abbia scalato la classifica di quelle più incendiate dal dibattito pubblico, anche a seguito dei terribili avvenimenti di cronaca che polarizzano la conversazione sui media.

Mano al dizionario: dal latino consensus,il con-sentire, il provare insieme le stesse sensazioni. Se rovistiamo tra i sinonimi, lì in zona c’è il beneplacito, qualcosa che piace e quindi che si approva e si vuole. Un volere che è effetto di libero arbitrio. 

Poi la plastica dei significati si presta a varie deformazioni. L’accezione corrente è quella di formale approvazione da parte di un’autorità superiore, e forse ha a che fare con il potere più che con il libero arbitrio. 

Sentiamo Treccani:

conformità di voleri…In diritto, elemento essenziale del negozio giuridico bilaterale o plurilaterale, consistente nell’incontro delle manifestazioni di volontà di due o più soggetti contrapposti… Il consentire a che un atto si compia, permesso, approvazione… In bioetica e nella pratica medica, partecipazione consapevole del paziente alle decisioni sul trattamento terapeutico da seguire, realizzata attraverso una informazione esauriente sulle sue condizioni di salute e, soprattutto, in caso di gravi patologie, sui rischi connessi alla terapia da seguire…Nel linguaggio politico, appoggio, favore espresso da gruppi e strati sociali alla politica di chi è al potere.

Gli ambiti principali cui applicare il concetto di consenso sembrano dunque quelli: 

  1. politico-economico-sociale: l’appoggio offerto a una persona, un partito, un programma, un’idea che impatti sulla collettività;
  2. medico: il consenso informato, l’autorizzazione del paziente a sottoporsi alle cure; 
  3. relazionale: la volontà comune a compiere una certa azione, compresa quella sessuale.

1) Ambito politico-economico-sociale: salite, discese e smancerie da telecamera

Nel monologo sulla democrazia, con il suo amaro sarcasmo, Giorgio Gaber diceva: 

La democrazia non è nemica della qualità. È la qualità che è nemica della democrazia. Mettiamo, come paradosso, che un politico sia un uomo di qualità. Mettiamo anche che voglia mantenersi a livelli alti. Quanti lo potranno seguire? Pochi, ma buoni. Noooo, in democrazia ci vogliono i numeri, e che numeri! Bisogna allargare il consenso, scendere alla portata di tutti. Bisogna adeguarsi. E un’adeguatina oggi, un’adeguatina domani… e “tac”, un’abbassatina. Poi ce n’è un altro che si abbassa di più, e… “tac-tac”, un’altra abbassatina… E così, quando saremo tutti scemi allo stesso modo, la democrazia sarà perfetta.

Anche senza farsi trascinare da questo livello di amarezza, possiamo intravedere l’uso del consenso popolare come strumento di potere molto prima che la democrazia si affacci sulla storia dell’umanità. Il panem et circenses dei latini, il mecenatismo delle signorie e delle case reali in tutta Europa dopo il Medio Evo, gli slanci di orgoglio nazionale espressi con le varie forme d’arte – urbanistica, architettura, musica (con guizzi creativi come quello che celava dietro il viva V.E.R.D.I. l’invocazione a Vittorio Emanuele Re d’Italia) – ne sono degli esempi.

Avvicinando lo sguardo a noi, credo si possa dire che il XX è stato il secolo del consenso di massa. Il XXI finora sembra accentuare la stessa direzione.

Ricordiamo come Marshall McLuhan, quello del mezzo che è il messaggio, nel 1964 individuò gli effetti della tecnologia sull’immaginario collettivo, indipendentemente dalla qualità dei contenuti.

Chissà come la sua mente brillante commenterebbe la regina dell’influencer marketing che raccoglie consenso intorno a un pandoro esibendo i bambini malati, per poi scatenare una tempesta di multe, attacchi dalle istituzioni, pubbliche scuse con lacrime riparatorie. O l’imprenditore più cool al mondo che si presenta ad Atreju, kermesse della gioventù italiana di destra, con uno dei suoi dieci bambini in spalla, cuore di papà.

Sappiamo che le parole e le azioni seguono lo stesso meccanismo: muovono emozioni e sentimenti, generano reazioni che esprimono la realtà, ma che in parte anche la plasmano. Quelle delle istituzioni, poi, orientano la politica, l’economia, il lavoro, la vita della gente.

Pensiamo allo Yes, we can di Obama, potente sintesi del suo obiettivo: ottenere il consenso per creare valore condiviso e senso della collettività. Tre parole ad alta energia.

Pensiamo alla campagna elettorale di Berlusconi del 1994. Annunciando l’ingresso in politica, dichiarava: «Ho scelto di scendere in campo». Metafora potente, il calcio, grande amore degli Italiani, il nome del partito e la scelta dei colori: tutto metteva in moto il senso di appartenenza.  

Diverso il consenso raccolto da Monti nel 2012 con il suo salire in politica. Basta come spiegazione il fatto che scendere è più agevole che salire? che il calcio diverte più della politica?

Chissà. Il fatto è che la differenza, più che nelle cose, sta nel modo in cui diciamo le cose, perché il modo ne definisce la consistenza (o l’inconsistenza).

Ancora: 19 luglio 2018, a Sintra, in Portogallo, durante il Forum annuale della Banca Centrale Europea, alcuni ricercatori analizzano come tra il 2006 e il 2013 la comunicazione delle previsioni economiche aveva influenzato il consenso sociale e la capacità di vedere il futuro. Quel periodo, noto come la crisi dei subprime, o la grande recessione, ha lasciato parole astratte come spread o stagflazione. Parole che non davano strumenti per prendere decisioni informate. 

Forse, se le previsioni economiche fossero state comunicate con chiarezza, le persone avrebbero potuto essere più consapevoli sulla possibilità di accendere un mutuo, cambiare l’auto o il lavoro. 

Insomma, le scelte linguistiche di chi ha responsabilità pubbliche forniscono strumenti per fare progetti, sperare e anticipare il futuro. Creano e guidano il consenso.

Anche quelle dei famigliari di chi ha responsabilità pubbliche. “Rapporto consenziente” è la definizione con cui si è difeso Leonardo Apache La Russa, il giovane indagato per una presunta violenza sessualesubita da una sua ex compagna di liceo. Fino al termine dell’indagine il giovane merita tutta la presunzione d’innocenza, certo. Peccato per lui che i nomi di famiglia, che evocano l’epopea western (i fratelli si chiamano Geronimo e Lorenzo Cochis) non ispirino, a pelle, un mood di cortesia, di rispettosi inviti e di pazienti attese della risposta. E la sua incipiente carriera musicale, con un frasario così benevolo e rispettoso, tipo «Sono tutto matto, sono tutto fatto, sono tutto pazzo, ma ti fotto anche senza storia» (Sottovalutati), non è che migliori la situazione.

Consenso

2) Ambito medico: il consenso informato > qui lo firmo e qui lo nego

L’ospedale è sporco, la sala operatoria altrettanto. Se il paziente vuol proprio farsi operare, già che firma il consenso all’anestesia, che firmi pure ’sta liberatoria sul “rischio oggettivo aggiuntivo”. Un ulteriore consenso da concedere, incrociando le dita, prima di andar sotto i ferri. 

Scena da cronache di guerra o da film-denuncia? No, no, è accaduto nel 2021 in Italia, conseguenza di un paio di settimane di sciopero della ditta di pulizia. Ma è solo una ciliegina.

Vediamo la torta.

Il consenso informato in medicina è l’accettazione che il paziente esprime a un trattamento sanitario, in maniera libera, e non mediata dai familiari, dopo essere stato informato sulle modalità di esecuzione, i benefici, gli effetti collaterali e i rischi ragionevolmente prevedibili, l’esistenza di valide alternative terapeutiche. (Enpam, Una definizione di consenso informato)

Il termine informed consent compare per la prima volta in un processo celebrato in California nel 1957. La sintassi inglese mette bene in chiaro: prima inform, poi consent: il personale medico spiega bene al paziente la condizione clinica e le possibilità di diagnosi o di terapia. A quel punto, il paziente decide, liberamente e sulla base delle informazioni ricevute, se accettare o meno l’iter.

Il consenso informato è un documento delicato perché assume valore quando il paziente comprende ciò che il personale medico gli ha spiegato, anche integrando a voce ciò che è scritto nel testo. A questo proposito, il Recepimento delle linee guida dell’U.E. di buona pratica clinica per la esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali” precisa:

4.8.6 Il linguaggio usato nelle informazioni orali e scritte concernenti lo studio, compreso il modulo di consenso informato scritto, deve essere il più possibile pratico, non tecnico e deve essere comprensibile per il soggetto o per il suo rappresentante legalmente riconosciuto e per il testimone imparziale, ove applicabile.

Chiarezza e trasparenza  influiscono sul rapporto di fiducia e sulle aspettative di cura delle persone. Spesso presentato come una mera formalità («Firmi qui, sa… la burocrazia…»), il consenso informato segna in realtà il punto di partenza della terapia: una scelta consapevole e collaborativa. Ecco che l’informazione al paziente è parte integrante della prestazione sanitaria; anzi, è essa stessa prestazione sanitaria, come ogni altro intervento diagnostico-terapeutico.

Utile, per esempio, descrivere i sintomi con parole comprensibili, traducendo i tecnicismi:

Il liquido anestetico può provocare reazioni allergiche generali: respirazione difficile (broncospasmo) e gonfiore della gola (edema laringeo), fino al collasso cardiocircolatorio da shock anafilattico.

Queste cure hanno dimostrato effetti positivi se somministrati a lungo termine dopo un infarto acuto del miocardio (ostruzione completa delle coronarie, le arterie del cuore, che porta a danni cardiaci).

O anche raggruppare gli effetti collaterali in un elenco: 

Gli effetti collaterali più frequenti dei farmaci includono:

– ipotensione (pressione sanguigna bassa)

– vertigini/mal di testa/giramenti di testa …

E, soprattutto, invitare il paziente a segnalare ciò che non è chiaro. Che significa, di nuovo, ascolto.

3) Ambito relazionale: sesso o possesso?

Se poi analizziamo l’ambito tenuto in genere più nascosto, quello delle relazioni affettive, troviamo persino le tracce di un ratto consensuale: pratica diffusa nel Sud Italia, prevedeva il rapimento della fidanzata da parte del fidanzato e la fuga lontano dai genitori. La classica fuitina.

Curioso che, prima ancora di consensuale, si chiami ratto, come quello che avvolge di leggenda la fondazione di Roma. Romolo si rivolge alle popolazioni vicine per stringere alleanze e ottenere delle donne con cui procreare e popolare la nuova città. Al rifiuto dei Sabini, risponde con l’inganno: organizza un grande spettacolo per attirare gli abitanti e poi rapire centinaia di donne.

Rifiuto, inganno, rapimento.

Ingredienti presenti anche nel brano funk degli anni ’80 citato in apertura, Ma quale idea:

L’ho beccata in discoteca / Con lo sguardo da serpente
Io mi sono avvicinato / Lei già non capiva niente
L’ho guardata, m’ha guardato / E mi sono scatenato …

Il brano, che ha saputo raggiungere le generazioni successive, reinterpretato dai Flaminio Maphia nel 2005 e oggi viralizzato da TikTok, racconta l’incontro tra un bullo da discoteca e la sua preda. Lei già brilla, lui ne approfitta (scena agghiacciante: ricorda qualche evento recente?)

Lui ne coglie lo sguardo, e lo legge malizioso e consenziente:

Era cotta innamorata, per i fianchi l’ho bloccata e ne ho fatto marmellata

Servissero particolari:

M’è venuta una pensata / Nella tana l’ho portata

Le ho versato un’aranciata / Lei si è fatta una risata

Al mio whisky s’è aggrappata / Cinque litri si è scolata

Mi sembrava bell’andata…

Fino al top del trasporto poetico:

L’ho bloccata accarezzata / Sul visino suo di fata / Ma sembrava una patata

L’ho acchiappata, l’ho frullata / E ne ho fatto una frittata

È successo a diverse attrici vittime di Harvey Weinstein, il produttore cinematografico che da un lato otteneva consenso sociale mostrando un tenace impegno contro povertà, Aids e malattie varie, e dall’altro si cimentava in stupri e violenze sessuali di una certa fantasia.

Sul set succede a Cassie, protagonista di Una donna promettente: finge di essere ubriaca nei locali e viene adescata da vari uomini. Quando lui la trascina nella sua tana, lei gli rivela la sua sobrietà e lo scoraggia a comportarsi così. Una specie di terapia d’urto, generata dallo stupro subito dall’amica. 

Pensiamo anche ad Artemisia Gentileschi, la pittrice affidata dal padre alla guida dell’amico Agostino Tassi, che la violentò nonostante i numerosi rifiuti. Famoso il processo cui fu sottoposta, lei, per dimostrare la propria innocenza. 

La dinamica è ricorrente. Lui, da solo o in compagnia, cerca il contatto fisico, lei rifiuta (subito o a un certo punto, poco importa), lui continua e si prende ciò che vuole. Non è sesso, è possesso. A casa, al lavoro, in discoteca, per strada, sui mezzi pubblici. Fra amici, parenti, colleghi, sconosciuti. Poi lui è descritto come dominato dagli istinti, malato o accecato dalla passione (vedi anche violenza). Lei lo ha provocato? ora ne paga le conseguenze. Si chiama vittimizzazione secondaria ed è anche la narrazione del caso di Palermo salito agli orrori della cronaca. 

Secondo Istat (2018) > “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale”:

  • il 39,3% degli Italiani pensa che le donne possano sottrarsi a un rapporto sessuale non voluto 
  • il 23,9% pensa che siano le donne a provocare con il loro modo di vestire
  • il 15,1% ritiene che la donna ubriaca o sotto effetto di droghe sia responsabile della violenza.

Sebbene il nostro Codice penale specifichi che chi abusa delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa commette reato di violenza sessuale, come società non siamo ancora in grado di non colpevolizzare chi ha subito molestie e stupri, e anzi siamo convinti che siano le donne a doversi difendere. Siamo cresciuti con la convinzione che gli uomini dovessero vincere quel minimo di resistenza delle donne e che i “no” fossero in realtà dei “sì” pudichi e questa forma mentis si riflette anche sulle sentenze che tutt’oggi vengono emesse e sulle motivazioni date per assolvere chi è accusato di stupro.   (Carolina Capria, Dalla parte di Cassandra

Come a dire che in fondo è sempre un po’ colpa di chi subisce, legittimando l’esistenza di un rapporto di subordinazione. Consenso o no, “se l’è cercata”.

Dai un bacio allo zio

La World Association for sexual health indice ogni anno la giornata mondiale per la salute sessuale, e nel 2023 ha scelto come tema proprio il consenso. Secondo l’articolo 5 della Dichiarazione dei diritti sessuali:

Ogni individuo deve essere libero dalla violenza e dalla coercizione sessuale, inclusi: stupro, abuso sessuale, molestie sessuali, bullismo, sfruttamento e schiavitù sessuale, traffico di persone per scopi di sfruttamento sessuale, test della verginità e violenza commessa a causa di reali o percepite pratiche sessuali, orientamento sessuale, identità ed espressione di genere e diversità fisica.

Il paragrafo specifica che il diritto alla libertà riguarda ogni persona, di ogni identità (biologica e di genere), diversità fisica, età. 

I bambini, per esempio, come spesso gli anziani, dipendono emotivamente e fisicamente dalle persone adulte che se ne prendono cura. È facile pensare che figli e genitori – quando l’autonomia non ce l’hanno ancora o non ce l’hanno più – siano estensioni di sé. “Qualcosa”, e non “qualcuno”, da tenere sotto il proprio controllo, a costo d’ignorarne bisogni e confini personali. 

«Dai un bacio allo zio», «Abbraccia la nonna», «Vieni che cambiamo il costumino», diciamo, ignorando un disagio o una volontà che magari non sanno esprimersi. 

Il linguaggio prepara il terreno ai comportamenti: se qualcuno si sente costretto a baciare o abbracciare qualcun altro, forse poi avrà meno strumenti per capire e difendersi dagli abusi. 

Vale anche per le persone anziane o quelle con disabilità. «Tanto non capisce», «Che t’importa, ormai sei vecchio/a», «Spogliati», sono espressioni mortificanti. Si presuppone che non sia necessario chiedere il consenso per baciare, abbracciare, esporre corpi, ma anche toccare qualsiasi parte del corpo, condividere cibo, fare foto. 

E quando tocchiamo la pancia di una donna incinta? Dimentichiamo che è una parte del corpo della donna, e che il contatto genera una risposta fisica ed emotiva. 

Mia figlia, mio figlio, mia madre, mio padre

Parafrasando Ella Marciello, la cultura del consenso si forma se c’impegniamo a staccare il concetto di proprietà dalle persone e se capiamo che figli e genitori sono esseri umani, anche quando hanno bisogno di noi. 


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